La malattia di Stargardt rappresenta la forma più diffusa di distrofia maculare nei giovani, essendo una causa comune di deterioramento della vista centrale per via ereditaria. Si stima che colpisca tra 1 persona su 8.000 e 1 su 10.000. La sua prima descrizione risale al 1909, ad opera di Karl Stargardt. Sebbene vi siano stati notevoli avanzamenti nella comprensione della sua genetica e patologia, nonché nello sviluppo delle tecniche di imaging per la sua diagnosi, fino ad ora non è stato ancora trovato un trattamento efficace per questa malattia.
Fisiopatologia
La malattia di Stargardt è causata principalmente da mutazioni nel gene ABCA4, ereditata in modo autosomico recessivo, anche se sono stati identificati alcuni pedigree autosomici dominanti. Le mutazioni nel gene ABCA4 portano all’accumulo di all-transretinale nei fotorecettori e nell’epitelio pigmentato retinico (EPR), che si converte in N-retinilidene-N-retiniletilammina (A2E), un componente della lipofuscina, tossica per l’EPR e i fotorecettori. Queste mutazioni sono anche responsabili di altre degenerazioni retiniche.
Presentazione clinica
Solitamente, la malattia di Stargardt emerge durante la seconda o terza decade di età, caratterizzata da un progressivo e graduale calo della vista su entrambi gli occhi. La manifestazione dei sintomi e il loro sviluppo differiscono significativamente tra i vari individui affetti. Il termine “fundus flavimaculatus” descrive una particolare espressione fenotipica di questa patologia, dove si osservano chiazze diffuse su tutto il fundus.
Caratteristiche dell’imaging
L’angiografia a fluorescenza (FA), l’autofluorescenza del fundus (FAF) e la tomografia a coerenza ottica spettrale (SD-OCT) aiutano nella diagnosi e caratterizzazione della malattia.
Il segno distintivo è un “coroide scuro” su FA. La FAF rivela iperautofluorescenza nelle aree di accumulo di lipofuscina e ipoautofluorescenza nelle aree di atrofia dell’EPR. L’SD-OCT può mostrare la perdita o la disruzione dei segmenti dei fotorecettori.
Prognosi e gestione
L’effetto sulla vista varia notevolmente tra gli individui. In molti casi, la capacità visiva può diminuire fino a un livello di 20/200 o inferiore, stabilizzandosi successivamente a questo punto più basso.
Al momento, non vi è una cura definitiva, tuttavia le indagini in corso sulla fisiopatologia e le potenziali terapie genetiche alimentano la speranza per soluzioni future.
Si consiglia ai pazienti di adottare misure preventive quali la protezione dai raggi solari, l’abbandono del fumo e il controllo dell’assunzione di vitamina A, al fine di limitare l’accumulo di lipofuscina e rallentare la progressione della malattia.